Raffaella Romagnolo presenta La figlia sbagliata
Raffaella Romagnolo era in concorso con il libro La figlia sbagliata (Frassinelli) per il Premio Strega 2016. Ѐ stata la più votata dai Comitati della Società Dante Alighieri nel mondo.
Raffaella Romagnolo è nata a Casale Monferrato nel 1971, vive a Rocca Grimalda con il marito. Ha scritto L’amante di città (Fratelli Frilli, 2007) e, per Piemme, La masnà (2012, divenuto anche uno spettacolo teatrale) e Tutta questa vita (2013, finalista al Premio Peradotto).
INTERVISTA ALL’AUTORE
Ricorda qual è stato il primo libro che ha letto?
Forse Cuore di Edmondo De Amicis. Un imprinting che fatico a superare.
Ci sono scrittori con cui sente di essere in debito?
Troppi per elencarli. Ma non voglio sottrarmi e dico almeno Fenoglio, Kristof, Mann, Garcia Marquez, Roth, Strout. Quando incontro un buon libro, il primo sentimento è di gratitudine per l’autore.
Ci racconti in breve una sua giornata tipo di quando scrive?
Cominciare mi mette ansia, così tergiverso facendo altro, soprattutto liste, lunghi elenchi dettagliati, su carta spessa e in bella grafia, di cose da comprare o da fare. Dopo una mezz’ora, mi rassegno e attacco. Leggo una o due pagine di un romanzo che sento vicino al libro che sto scrivendo (ne ho sempre una piletta accanto al pc), rileggo quello che ho scritto il giorno precedente, correggo e vado avanti. Interrompo il meno possibile. A metà giornata cerco di camminare una quarantina di minuti nel verde. Mangio moltissimo.
Cosa le piace del suo lavoro di scrittore e cosa non le piace?
Nonostante l’ansia dell’attacco, la scrittura è un momento di grazia. E mi piacciono tutte le fasi: dall’idea alla progettazione alla documentazione alla stesura fino alla correzione delle bozze. Mi pesa un po’ invece la promozione: il libro è finito, se vado in giro a presentarlo come faccio a scrivere il prossimo?
Qual è stata la molla che l’ha spinta a scrivere il suo ultimo libro?
Stavo scrivendo altro e ho avuto un incubo. Ho sognato la prima scena, quella in cui Pietro Polizzi muore facendo il cruciverba e sua moglie Ines non avverte i figli. Nel sogno capitava la stessa cosa ai miei genitori. La mattina dopo mi sono detta: che storia! Ho inventato una trama plausibile, ci ho ficcato dentro il mio incubo e l’angoscia che ho provato, ne ho fatto un romanzo: un’operazione insieme intima e spudorata. Sì, forse Philip Roth ha ragione, è un mestiere indecente.
Il rebus della “Figlia sbagliata”
Questo libro l’ho sognato. Nel sogno c’erano mamma e papà, lui stava al tavolo di cucina, con la Settimana Enigmistica aperta davanti, faceva le parole crociate e gli veniva un attacco di cuore. Rimaneva lì, incastrato tra tavolo e sedia, e mamma non avvertiva né me né mia sorella. Un signor incubo.
Ma quando ho aperto gli occhi, e cuore e respiro hanno cominciato a regolarizzarsi, ho pensato: «perchè no?». Ho preso quei brandelli di inconscio, la loro ferocia, quel grumo di dolore così intimo e incomunicabile, e li ho fatti diventare personaggi, trama, intreccio. Che quello dello scrittore sia un mestiere indecente – impudico, senza vergogna – non lo dico io, lo dice Philip Roth.
Scrivo questa cosa del sogno perchè non mi era mai successa. Anzi, mentre la scrivo, quasi non ci credo, tanta è la diffidenza verso qualunque mistica della scrittura. Le balle che si raccontano intorno all’Ispirazione. Non esistono Illuminazioni, scorciatoie, muse che cantano e tu trascrivi. Però questa volta è andata proprio così, il libro me lo sono sognato. L’inizio e anche la fine, un anno dopo che avevo cominciato a scriverlo, e forse val la pena tenerne conto perchè, nella storia, molto di quel buio è rimasto.
“La figlia sbagliata“
Un sabato sera come tanti in una cittadina della provincia italiana. La tv sintonizzata su uno show televisivo, nel lavandino i piatti da lavare. Un infarto fulminante uccide il settantenne Pietro Polizzi, ma Ines Banchero, sua moglie da oltre quarant’anni, non fa ciò che ci si aspetta da lei: non chiede aiuto, non avverte amici e famigliari, non si preoccupa di seppellire l’uomo con cui ha condiviso l’esistenza. Comincia così un viaggio dentro la vita di una coppia normale: un figlio maschio, una figlia femmina, un appartamento decoroso, le vacanze al mare, la televisione e la Settimana Enigmistica. Ma è una normalità imposta e bugiarda, che per quarantacinque anni, per una vita, ha nascosto e silenziato rancori, rimpianti, rimorsi e traumi. E mentre giorno dopo giorno la morte si impadronisce della scena, il confine fra normalità e follia si fa labile…