Istituto Dante Alighieri, Skopje

VLADA UROSEVICH

Il Futurismo, uno dei movimenti artistici più chiassosi nato agli inizi del XX secolo, in sostanza rappresenta una forma specifica del ritorno all’idea del razionalismo europeo sull’immutabile energia positiva del progresso inarrestabile. Nella nuova cornice storica esso si presenta come l’effetto della presenza impellente nella vita quotidiana degli elementi della civiltà tecnologica, ma anche delle aspirazioni di dare a questa presenza dei valori spirituali ed estetici. Inizia in Italia per estendersi poi, in una variante singolare, in Russia, e – in una versione più prossima al Futurismo italiano – in Portogallo, in Brasile, in Argentina, in Cile e in Messico.

Il Futurismo italiano è inscindibilmente legato alla personalità e all’opera di Filippo Tommaso Marinetti: il suo “Manifesto di fondazione del futurismo” (20 febbraio 1909) rappresenta la miccia detonante iniziale della carica esplosiva di quel movimento che attingerà la sua forza distruttrice soprattutto dalla percezione del logoramento del modello poetico simbolistico e dalla necessità di nuove idee che rispecchino il tempo attuale con tutti i cambiamenti che esso comporta. Benché vi siano indubbiamente dei precedenti nella poesia (Walt Whitman, Emile Verhaeren), il Futurismo è un movimento spiccatamente antitradizionale – il suo atteggiamento contrastante è indirizzato, anzitutto, ad un’Europa eccessivamente assillata dal proprio passato, dai depositi dei secoli, dalla stima del retaggio culturale. Il movimento raggiunge il suo vertice negli anni tra il 1910 e il 1915; ma già negli anni Trenta le sue apparizioni in Italia sono sempre più rare fino a scomparire definitivamente con il decesso di Marinetti nel 1944 e con la fine della Seconda guerra mondiale. Nell’ambito della letteratura italiana si evidenziano delle differenze tra il gruppo milanese di Marinetti (più radicale nelle sue ostentazioni) e quello fiorentino di Ardengo Soffici (variazioni più moderate delle tendenze fondamentali del movimento); questi, anzi, propone che gli appartenenti al gruppo milanese prendano il nome di “marinettisti”, conservando per il suo gruppo la denominazione di “futuristi”. Dopo il primo Manifesto del 1909, Marinetti pubblicherà tutta una serie di manifesti, fino al “Manifesto della donna futurista” e al “Manifesto della cucina futurista”. Nei suoi impegni volti alla creazione di un’estetica e poetica nuove, basate sulle forme di massima dinamicità della vita contemporanea, sull’elogio della meccanica e sulla “bellezza della velocità”, il Futurismo tende ad una sensibilità nuova che troverà le sue basi nelle caratteristiche dell’era tecnologica. Marinetti già nel suo primo manifesto proclama che “l’auto da corsa (…) è più bella della Nike di Samotracia”. Marinetti definisce quindi il Futurismo come “movimento antifilosofico, anticulturale, sportivo”; al posto della contemplazione intellettuale, Marinetti postula “un’attività ardita e violenta”. La comparsa dei futuristi tende all’eruttività, alla brutalità, all’aggressività – e ciò non solo nell’ambito dell’arte, bensì in tutte le sfere della vita, ambendo di diventare un fattore attivo nel cambiamento della sensibilità generata dai tempi nuovi. Lanciando il motto “vogliamo distruggere i musei, le biblioteche”, i futuristi ripudiano il retaggio culturale ritenendolo un bagaglio superfluo che ostacola il cammino verso la scoperta di nuove poetiche. Negando l’importanza della psicologia nella letteratura, i futuristi la sostituiscono con “l’ossessione lirica della materia”. La nuova divinità del Futurismo è la macchina – che viene innalzata sul piedestallo di sommo valore, sino ad allora riservato all’uomo. Il movimento tende a sopprimere, da un lato, le differenze tra il banale e il volgare, dall’altro, tra il bello e il sublime. Si annulla la distanza tra l’arte e la politica, il che risulta, prestissimo, con la connessione tra il Futurismo e il fascismo. Provocare e scandalizzare diventano gli strumenti di battaglia per promuovere nuove idee artistiche, una forma legale di attività artistica. Dai primi inizi del movimento, per Marinetti la guerra è “l’unica igiene del mondo” e il Futurismo si definisce da sé come movimento rivolto “contro tutti voi che state morendo troppo lentamente e contro i morti che ingombrano le strade.” Scindendosi radicalmente dall’atmosfera crepuscolare dei giardini simbolistici, il Futurismo si rivolge verso l’immagine urbana contemporanea con tutta la sua caoticità, il ritmo sincopato e il parallelismo simultaneo di eventi caotici. Gli autori futuristi sono entusiasmati dai nuovi mezzi di comunicazione, dal linguaggio di strada, dalla molteplicità di informazioni che rivaleggiano e si oltrepassano reciprocamente, introducendo la coscienza dell’individuo in un labirinto difficilmente percorribile. E ne deriva un nuovo discorso poetico: “parole in libertà”. In questo nuovo linguaggio poetico la sintassi tradizionale si scompone, viene soppressa in quanto superflua. Si eliminano gli aggettivi e con essi gli avverbi, le preposizioni, le congiunzioni e i pronomi; i verbi si usano solo all’infinitivo. La frase si trasforma in un ammasso di parole che, accumulandosi, dovrebbero suggerire il dinamismo e l’immediatezza nel trasferimento degli stimoli sensoriali. Le nuove onomatopee dei ritmi meccanici si collegano con delle formule matematiche e chimiche (tipico il titolo di una delle raccolte poetiche del Soffici: BIF & ZF + 18. Simultaneità. Chimismi lirici). Alla base della determinatezza del Futurismo italiano sta l’accettazione incondizionata del concetto dell’effetto positivo dell’inarrestabile progresso tecnologico e del suo indubbio influsso sulla vita emotiva dell’uomo e sull’immagine artistica del mondo. Il Futurismo estrae di certo la letteratura italiana dal provincialismo nel quale era precipitata nella seconda metà del XIX secolo e la inserisce come fattore attivo sulla scena letteraria europea. Ma al tempo stesso il movimento, proprio a causa del suo legame col fascismo, ci rimette la propria criticità, il proprio spirito spontaneo e rivoluzionario, mettendo con ciò in bilico anche il proprio avanguardismo.

Il Futurismo russo si sviluppa da quello italiano, ma nella sua ricezione mostra una larga selettività nei confronti delle idee di Marinetti. Le prime risonanze delle idee futuriste in Russia si registrano nell’anno stesso, quando viene pubblicato il primo Manifesto di Marinetti; ed in breve tempo, nei circoli letterari russi si formano anche dei nuclei futuristi. Quando nel 1914 Marinetti arriva in Russia per tenere un ciclo di conferenze a Mosca e a Pietroburgo, il movimento futurista russo ha già preso lo slancio, ma appaiono ormai visibili anche gli sforzi di distanziamento dal Futurismo italiano. Al fine di dimostrare che il movimento russo ha origini italiane, Marinetti si servirà di una mistificazione, escogitando un suo viaggio in Russia nel 1910; rispondendo con un’ennesima mistificazione, i futuristi russi trasporteranno nel 1907 la pubblicazione della loro raccolta Peschiera con magistrati, (stampata nel 1910). In Russia si attiveranno quattro gruppi di futuristi, colmi di intolleranze reciproche e con notevoli differenze circa le questioni fondamentali alle quali il Futurismo russo cercherà di dare risposta: a) gli Ego-futuristi (capogruppo Igor Severjanin); malgrado gli appelli dichiarativi alla rottura col passato, la poesia di questo gruppo rimane tuttavia nelle acque della poetica simbolista; b) “Centrifuga” (capogruppo Sergej Bobrov): senza molti radicalismi nelle estrinsecazioni delle idee futuriste; c) “Ammezzato della poesia” (capogruppo Vadim Sersenevich): con le maggiori somiglianze al Futurismo italiano; d) i “Kubo-futuristi” (capogruppo Vladimir Majakovskij): maggiormente propensi a certe imprese sperimentali, i più numerosi e i più rilevanti. Quest’ultimo gruppo si sviluppa in effetti dalla “Hileja” che aveva pubblicato nel 1910 la raccolta Peschiera con magistrati. Passando attraverso parecchie modifiche nei rapporti reciproci tra i vari gruppi, i futuristi dell’Unione Sovietica sussisteranno fino all’inizio degli anni Trenta, quando l’instaurazione della dottrina del “realismo socialista” renderà impossibile il manifestarsi di qualsiasi altra poetica. Malgrado accettino l’idea conduttrice del Futurismo italiano, cioé che l’arte debba troncare i legami col passato e volgersi al futuro, i futuristi russi – a differenza di quelli italiani – sono assillati più dallo sviluppo scientifico che da quello tecnologico; l’industrializzazione non è un ideale indiscutibile e la natura non viene totalmente sostituita dal paesaggio urbano e industriale. Si potrebbe anche affermare che i futuristi russi (Velimir Hlebnikov) vedono il futuro della civiltà come un ripristino dell’equilibrio tra la scienza e la natura. Mai nel Futurismo russo la macchina verrà a minacciare la posizione dell’uomo e nemmeno l’idea della guerra come “unica igiene del mondo” incontrerà terreno fertile in quel nuovo ambiente. Il discostamento maggiore dalle idee del Futurismo italiano sarà l’accettazione di una sorta di tradizione: i futuristi russi, a sostegno dei propri punti di vista, si volgeranno verso una forma di folclore – cioè verso forme culturali nelle quali lo spirito popolare creativo si distacca maggiormente rispetto alla lingua (incantesimi, magie, stregonerie, scongiuri, maledizioni, filastrocche). Nella dichiarazione “La parola come tale” (1913, firmatari V. Hlebnikov e A. Krucionich), e nella “Dichiarazione del linguaggio mentale” (1921, A. Krucionich), vengono poste le basi della teoria del “linguaggio mentale”. Nel “pre-suono”, esistente nella creatività collettiva, i futuristi cercano la forma primordiale della poesia. “Le parole muoiono. Il mondo rimane eternamente giovane. Il giglio è bello, ma il termine “giglio” è orribile, logoro, violentato. Perciò io denominerò il giglio come ‘eui’. La purezza primordiale viene così nuovamente restaurata.” (“La parola come tale”). Malgrado questo modo di formazione della parola ricordi le “poesie fonetiche” dei dadaisti, i propositi dai quali partono i dadaisti e i futuristi russi sono notevolmente distanti e differenti: il dada va verso la distruzione di qualsiasi senso del linguaggio poetico, mentre gli autori del “linguaggio mentale” vanno alla ricerca di un senso atavico e più profondo della parola. Nonostante dimostreranno, già agli inizi della Rivoluzione d’Ottobre, la risolutezza di accompagnare la propria inconciliabilità con l’esistente con un entusiasmo rivoluzionario concepito in senso sociale, e di vedere nei mutamenti rivoluzionari l’opportunità per un rinnovamento del mondo, i futuristi non verranno mai ritenuti alleati naturali dal nuovo governo sovietico – le loro aspirazioni per una de-estetizzazione della poesia, la loro rottura con l’idea dell’armonia, la loro propensione all’iperbole e al grottesco sembreranno troppo distruttive per il potere del nuovo assetto politico. D’altronde, il connubio con il governo ufficiale dei loro Paesi si dimostrerà nocivo sia per il Futurismo italiano che per quello russo e smusserà l’acutezza della rigogliosità originale, apportata dalla loro insurrezione artistica, obbligando gli autori sia dell’uno che dell’altro movimento a recedere dai principi inizialmente proclamati.

Traduzione dal macedone: Maria Grazia Cvetkovska