Istituto Dante Alighieri, Skopje

“Il Futurismo non poteva nascere che in Italia”, ha dichiarato in un’occasione Aldo Palazzeschi, uno dei più dotati poeti vicini a questo movimento. La dichiarazione di Palazzeschi si basa sul fatto che l’Italia è quasi sempre stata un Paese volto verso il passato, avendo sulle spalle la grande e gloriosa tradizione romana, nonché una notevole densità sul suo suolo di opere artistiche di diverse epoche storiche. Proprio questa ossessione della tradizione, nel momento della nascita delle avanguardie in Europa, aveva provocato un desiderio di rottura radicale con il passato e la necessità di far virare bruscamente l’interesse verso il futuro. Ed è così che i futuristi italiani improvvisamente smettono di adorare i musei e gli artefatti dell’antichità, scegliendo invece la velocità e le tecnologie moderne per le loro nuove adorazioni.

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L’arte europea dell’inizio del Novecento, se vogliamo parafrasare Heidegger, aveva il compito di raccontare il senso di un’ epoca “senza senso”. Ma, all’arte dell’avanguardia, secondo Zygmunt Baumann, non bastava rappresentare il mondo così com’era, voleva anche modificarlo, migliorarlo, nobilitarlo. E dove collocare in questo contesto le poetiche del Futurismo?

Oggi, a 100 anni dalla sua nascita, paradossalmente il Futurismo é diventato parte del passato, della storia, considerato solo un pezzo del lungo e continuo sviluppo del genio umano. Molti lo vedono come una meteora, apparsa improvvisamente nel cielo delle avanguardie. Ha lasciato qualche traccia in quel cielo? Tutti sono comunque d’accordo che questo sia stato il primo movimento artistico, letterario, culturale ed intellettuale, proveniente dall’Italia con un impatto più vasto in Europa. O, per meglio dire, si tratta del primo movimento, forse dopo il Rinascimento, che ha superato i limiti nazionali, per diventare un fenomeno europeo, se non addirittura mondiale.

Uno dei modi tipici per rappresentare le idee del Futurismo sono i Manifesti. Perciò il Futurismo è stato considerato prevalentemente un’arte collettiva. Esprimersi tramite manifesti era stata una modalità già concordata in quel periodo fra i rappresentanti dell’arte moderna. Però, i manifesti del Futurismo non erano solo un appoggio teorico alle forme dell’arte, ma anche uno strumento diretto d’azione, un’ azione concreta, creativa. Nel momento in cui fu pubblicato il primo Manifesto del Futurismo sul quotidiano parigino Le Figaro’, non esisteva ancora nessun libro, nessuna poesia, nessun quadro di stampo futurista. Il Manifesto stesso è la forma tramite la quale viene espresso il Futurismo; è un nuovo genere letterario, un nuovo mezzo pubblicitario, aperto e spettacolare, destinato più alla recita che alla lettura. La produzione dei manifesti nel Futurismo è intensa e continua, complessa e onnipresente, contiene la stessa dose di energie e dinamismo presente nella creazione delle opere d’arte futuriste.

Nei primi dieci anni del Futurismo, Marinetti è riuscito a raccogliere moltissimi manifesti di cui ha curato tre grandi antologie. La storia letteraria ne ha individuati ben trecentoventitre, fino alla fine della sua vita nel 1944, anno che fu considerato anche la data della fine del movimento. Questi testi di solito hanno titoli semplici, che indicano la forma d’arte o il fenomeno cui sono stati dedicati, per esempio: Manifesto per la fondazione del futurismo (1909), Manifesto dei pittori futuristi (1910), Manifesto dei musicisti futuristi (1911), Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912), poi della scultura (1912), dell’architettura (1913), del cinema (1916), della scienza (1916), della donna, della cucina, della moda ecc. A volte i manifesti hanno titoli molto più coraggiosi e indicativi: Contro l’amore e il parlamentarismo!, Uccidiamo il chiaro della luna!, Contro Venezia passatista!, La voluttà di essere fischiati!, Manifesto futurista della lussuria, Manifesto della ricostruzione futurista dell’universo ecc.

I manifesti del Futurismo furono pubblicati sulle pagine delle riviste, furono letti e recitati alle provocatorie serate futuriste, diffusi in forma di locandine, venivano consegnati a mano, per strada. A volte i manifesti furono sparsi per le piazze come in un vero e proprio happening, come quella volta a Venezia, quando 100 000 volantini di argomento antiveneziano furono gettati da Marinetti e dai suoi seguaci dalla torre di San Marco sulla folla arrabbiata dei veneziani. Proprio questa città, simbolo del passato, città-museo, ambiente pietrificato di tempi passati, fu spessissimo oggetto di derisione e disprezzo da parte dei futuristi. Sul volantino Marinetti derideva i più famosi simboli veneziani, chiamando le gondole “poltrone a dondolo per cretini”, proponeva di “colmare piccoli canali puzzolenti con le macerie dei vecchi palazzi crollanti e lebbrosi”, per preparare “la nascita di una nuova Venezia, industriale e militare”, “che possa dominare il mare Adriatico, gran lago Italiano!” Tutto questo, certamente, assieme all’esagerato patriottismo e nazionalismo dei futuristi, che presto e con facilità si avvicinarono al nascente fascismo italiano. Complicato e complesso è il rapporto tra il Futurismo e il fascismo. Subito dopo la Prima guerra mondiale Marinetti aveva creato i primi “fasci futuristi” e nel 1918 nasce anche il “Partito politico dei futuristi”. Già nel suo “Programma politico futurista” (pubblicato nel 1913), Marinetti diffondeva idee nazionalistiche, gridando “La parola ITALIA deve dominare sulla parola LIBERTÁ (…)”, esprimendo il bisogno di una “politica estera cinica, astuta ed aggressiva. – Espansionismo coloniale. – Irredentismo. – Panitalianismo…” Negli anni che seguono però il Futurismo più volte si avvicina e si allontana dalla posizione di Mussolini. I motivi si possono trovare nella non-approvazione dell’autoritarismo e dell’assolutismo del leader politico, nella rigorosa gerarchia dentro il partito e nello spirito di totalitarismo che soffocava il carattere anarchico del Futurismo. Comunque, dopo che il fascismo si consolidò nel 1922 rimanendo al potere per un ventennio, Marinetti gli si avvicina di nuovo. Con la sua attiva retorica nazionalista, egli sarà uno dei più fedeli sostenitori di Mussolini, che gli aveva garantito lo status di intellettuale ufficiale e, nel 1929, anche un posto nell’Accademia nazionale d’Italia. L’avvicinarsi al potere del regime purtroppo rovina, una volta per sempre, lo spirito ribelle e rivoluzionario del movimento futurista, che, secondo la maggior parte degli storici, si scioglie proprio nel 1920. Negli anni che seguono, il Futurismo acquisisce un carattere cerimoniale, trasformandosi in una scuola letteraria, attorno alla quale si uniscono i suoi epigoni, ma senza nuove idee e senza l’invenzione e la provocatorietà nelle loro iniziative.

Il Futurismo è interessante finchè rappresenta una variante estrema delle avanguardie, anche se il suo estremismo, in sostanza, è un “estremismo programmato”. Il movimento, l’energia, l’accelerazione e il dinamismo sono i suoi concetti essenziali, mentre gli effetti desiderati sono lo shock e lo schiaffo, destinati soprattutto al gusto e alla morale borghese. “Originalità senza limiti e ad ogni costo”, è uno dei motti principali dei futuristi. La loro energia, però, è un’energia distruttiva, energia dei forti indirizzata contro l’impotenza dei deboli. Perciò, il futurismo significa anche glorificazione della Guerra in chiave nazionalista, un’occasione di rinnovo radicale dell’umanità, ovvero l’unica “igiene del mondo”.

I futuristi richiedono un’integrazione totale e assoluta tra la vita e l’arte. L’arte dovrebbe adeguarsi alla velocità delle macchine, mentre le parole e i testi dovrebbero brillare e suonare come i fuochi d’artificio. I futuristi preferivano l’immaginazione all’intelligenza, lodavano la follia di fronte alla razionalità della società borghese. Uno dei punti più alti della poetica del Futurismo è la loro teoria della simultaneità: raccogliere in un attimo tutti gli aspetti della realtà in movimento. Così, l’unico tempo da loro riconosciuto è l’infinito: un tempo indeterminato, non-definito. I futuristi cancellavano i confini tra le arti, usando a tale proposito una serie di nuove scoperte tecnologiche. Ma i loro risultati migliori, comunque, non sono quelli dell’ambito letterario, ma quelli nella pittura, nella scultura e nell’architettura, cioè nelle arti figurative.

Il chiaro desiderio di creare provocazione e scandalo e di realizzare un contatto diretto con il pubblico si addice particolarmente bene alle idee del teatro. Il teatro è senz’altro uno strumento ideale di tutte le propagande. Tramite questo medium, i futuristi sapevano di poter dare il colpo più efficace al povero e impreparato pubblico borghese. I futuristi hanno scritto diversi manifesti dedicati al teatro: Manifesto dei Drammaturghi futuristi, Il teatro di varietà, Il teatro della sorpresa, Il teatro futurista sintetico ecc. In questi manifesti loro sostengono alcune idee essenziali: trasformare il personaggio, ridurlo a una marionetta, un emblema o allusione, garantire una partecipazione attiva della scenografia e della luce, una nuova, non-cronologica concezione del tempo, l’uso libero delle parti del corpo umano e soprattutto un coinvolgimento attivo da parte degli spettatori. La cosa più importante, secondo i futuristi, è provocare disprezzo da parte del pubblico; il pubblico non doveva essere soddisfatto nelle sue aspettative. E solo il successo mancato dello spettacolo garantiva il successo della provocazione. Ecco perchè la “voluttà di essere fischiati”: perché, se venivano fischiati, voleva dire che avevano offerto qualche novità; invece, se venivano applauditi, allora erano stati mediocri e avevano offerto qualcosa di banale e insignificante. Infatti, le serate futuriste spesso rappresentavano eventi complessi, fatti da letture di poesie, letture dei loro manifesti, interpretazione di pezzi di musica (in sintonia con i concetti della musica futurista – il c.d. rumorismo), mostre delle loro opere d’arte, un po’ di danza, atti unici ecc. E tutto questo in contatto diretto con il pubblico, che spesso finiva con uno scontro fisico, cioè in vere e proprie risse. Alcuni cronisti dicono che il pubblico veniva volentieri alle serate futuriste, perché quasi regolarmente queste serate finivano con i lanci degli ortaggi sugli attori e spesso anche con l’intervento della polizia.

Sembra particolarmente interessante, e non ancora molto studiato, il rapporto tra il Futurismo e la donna. All’inizio sembra che i futuristi ignorassero e trascurassero la “seconda metà dell’umanità”. Il loro eros fu rivolto esclusivamente alla macchina. Il Manifesto per la fondazione del futurismo in modo aperto parla del “disprezzo” per la donna. Marinetti praticamente criticava la lunga e tradizionale condizione della donna quale musa, femme fatale, condannando la sua ubbidienza, l’inerzia e il suo sentimentalismo.

A lui, in modo energico e coraggioso, risponde Valentine de Saint-Point, con il suo Manifesto della donna futurista, in cui, paradossalmente conforme al nuovo movimento, glorificava la sensualità primordiale e la forte, eroica e “maschile” natura delle donne. Più tardi anche Marinetti nel Manifesto Come sedurre le donne abbandona il limitato concetto precedente diventando molto più impegnato, chiedendo chiaramente il diritto al voto per le donne, la rinuncia all’autorità dell’uomo sulla donna, il diritto al divorzio, la svalutazione e la lenta distruzione del matrimonio, la svalutazione del concetto dell’innocenza, la derisione della gelosia, il diritto all’amore libero ecc. Comunque, il Futurismo non procede mano nella mano con il femminismo, che le futuriste vedevano come “errore politico”, perché, secondo loro, le donne non avevano bisogno di emancipazione politica, bensì di un’introduzione diretta e attiva nella rivoluzione!

Una prova della diffusione del Futurismo in tutti i campi della vita e delle attività umane sono i manifesti dedicati alla musica, al cinema, alla moda e alla cucina. Risultati particolarmente interessanti si possono vedere nella fusione tra il futurismo e la gastronomia. Alcuni credono sia naturale che, nella complessità dei suoi interessi, il Futurismo abbia coinvolto anche i piaceri della gola e del cibo, prendendo in considerazione il fatto che il cibo unisce l’olfatto, il palato, la vista e il tatto, perciò considerandolo la vera espressione della sinestesia, ovvero della simultaneità delle sensazioni. In un manifesto i futuristi si sono dichiarati anche contro la pastasciutta, cibo essenziale degli italiani, considerandola il cibo dei poveri, che non dà all’uomo le energie e le forze necessarie ad ogni comportamento eroico. La provocazione di una cena futurista, realizzata a Trieste nel 1930, consisteva nel capovolgimento dell’ordine consueto delle pietanze: la cena iniziava con il caffè e il dolce, per proseguire con il piatto principale, per chiudersi poi con l’antipasto e l’aperitivo! Come sommare le molteplicità delle avventure futuriste e come vedere oggi il Futurismo, un movimento nato dallo sguardo volto verso il futuro, che improvvisamente è diventato “passato”? Cercare oggi influenze del Futurismo nell’arte contemporanea sarebbe certamente un’idea sbagliata. Ma quella libertà dei futuristi nel creare e nel comunicare a più livelli, quel coraggio e quell’arroganza nel chiedere nuovi mezzi artistici hanno senz’altro trovato il loro posto nella storia dell’arte del Novecento. Questo filone potrebbe essere riconosciuto ancora in tutte le tendenze contemporanee che rifiutano la tradizione e camminano, coraggiosamente e senza compromessi, nella direzione delle richieste e delle sperimentazioni delle infinite possibilità dell’arte e della creatività umana.

Anastasija Gjurčinova