Istituto Dante Alighieri, Skopje

Tiziano Scarpa

Solitudine. Gioia, dolore, follia. E il timo di fallire. Il vincitore del premio Strega parla della fatica dello scrivere. Attraverso un dilaogo immaginario con le parole.

Sono un po’ in apprensione. Ho un appuntamento importante, e temo di non essere all’altezza. Non è una diva del cinema, nè un uomo politico. Devo fare un’intervista sulla fatica di scrivere. Ci ho pensato molto, e ho capito che non c’è nessun altro che mi può rispondere. Non è una persona, per la verità.  Ho chiesto alle parole di farsi intervistare. Si, farò un’ intervista alle parole. Ho contattato il loro agente, ho preso accordi. Sono giorni che aspetto una chiamata, per sapere il posto e l’ora. Finalmente squilla il telefono. Qualcuno mi sussurra un indirizzo. Come? Non ci credo. O forse non ho capito io. Me lo faccio ripetere. Mi avvio. È una strada che conosco molto bene, ci arrivo quasi a occhi chiusi. Tiro fuori le chiavi. Apro la porta. Entro. Le parole mi stanno aspettando a casa mia, accovacciate sul tavolo di cucina. Sono fatte di una sostanza che non avevo mai visto prima: una pasta elastica, luminosa, sembrano vetro allo stato magmatico, la crosta frantumata e sinuosa manda bagliori catarifrangenti, come occhi di gatto disseminati a decine. Un organismo che si dimena, sciogliendosi e affondando in se stesso.

Buon….buongiorno.

Ciao. Perchè ci guardi così, a bocca aperta?

Be’ vi conoscevo nere su fondo bianco. Di solito preferite spegnere le superfici chiare, gli schermi, le pagine. Le annerite a poco a poco.

Non ci chiedi niente?

Mi avete preso alla sprovvista.

Vuoi che rompiamo il ghiaccio?

Magari, grazie.

Guarda, se vuoi ci mettiamo in fila una dopo l’altra in una frase che comincia facendo finta di niente e improvvisamente si ritrova nel mezzo dell’oceano, dove c’è un’isola infestata da tartarughe feroci, che producono un enzima risolutivo per la cura della psoriasi.

Che cosa state dicendo?

Oh,niente,inventavamo una cosa qualsiasi.  Per mostrarti quello che sappiamo fare.E tenerti compagnia.

Perchè mi avete convocato proprio qui?

Alla fine è questo il posto dove ti trovi meglio a scrivere,no? Sul tavolo di cucina.

Eh, sulla scrivania succede solo la scrittura.  Su questo tavolo invece ci ho mangiato, tagliato le verdure, ho dato dei baci, e una volta una mia amica ha cambiato il pannolino a suo figlio.

Ah, sì, la retorica della scrittura sparpagliata in mezzo alla vita….La verità è che nell’altra stanza, sulla scrivania, ti senti a disagio col brusio dei classici allineati sugli scaffali, che crepitano come le cicale in un bosco, d’estate.

Non è solo questo. È che sulla scrivania c’è il computer connesso alla rete, e allora non riesco a stare da solo con voi. Troppe interferenze. State diventando sempre più difficili da incontrare.

Noi? Ma se siamo dappertutto! Assomigliamo pericolosamente a Dio. Pervadiamo, brulichiamo.Come lo spirito del Signore che vaga sopra le acque della creazione. Ma anche se ti chini sotto il tavolo, e guardi rasente il pavimento, ecco che vedi una briciola di pane, e subito pensi:“Briciola“. Siamo anche lì, ci siamo sempre.

Non generalizzate.Io volevo dire che la prima difficoltà dello scrivere, più che sgomberare i rumori e le immagini, è zittire le altre parole intorno a voi, quelle che arrivano da tutte le parti. Dal telefono, a voce e per messaggino, e quelle sullo schermo, la rete,la posta elettronica.Ho la tentazione continua di sfuggirvi,per ridiventare lettore. Leggere, al posto di scrivere. Percorrere una strada già segnata,confortante,invece di tracciarla da me. Perchè scrivere è duro, è fare esperienza di una solitudine assoluta.

Quanto sei pomposo!

È la verità. No?

No. E dovresti saperlo anche tu. Non ti ricordi quella sera,lo scorso aprile,alla Fondazione Buziol a Venezia?

Alla commemorazione di Betto?

Sì. C’era tutta quella gente ad ascoltare le pagine di Filippo Betto, l’autore di “Certi giorni sono migliori di altri giorni“,morto poche settimane prima. Leggevate i suoi inediti, tu e i tuoi amici, Bugaro, Di Renzo, Ferrucci, Garlini, Mancassola, Villalta. In prima-fila,il padre di Betto si contorceva nel dolore. E tu lì hai sentito qualcosa. Non rinnegarlo, adesso. Non rinnegarci.

Vedevo quegli scrittori che davano voce alle parole di un altro scrittore morto da poco,mi è sembrato di sprofondare con un’intensità fortissima nella situazione di un uomo solo dentro il linguaggio, che scrive immerso in un paesaggio immenso,il paesaggio delle parole.Immaginavo Filippo Betto, che non ho mai conosciuto di persona, come un guerriero solitario, lo vedevo combattere e trovare il suo varco dentro un vortice di parole che vengono da lontanissimo, dai milenni passati, e che dureranno per chissà quante generazioni, ancora.

Vedi, che non esiste la solitudine assoluta,quando scrivi. Non lagnarti.Sei sempre insieme a qualcuno:gli antichi,gli antenati,i vivi, quelli che non sono nati ancora, le loro parole,noi.

Però, la storia che sto inventando,con quella sì che rimango da solo.

Niccolò Ammaniti le sue storie le collauda raccontandole agli amici:una volta, a Venezia,avete perso la fermata del vaporetto,non vi siete accorti che eravate arrivati perchè lui vi aveva ipnotizzati con la trama del suo prossimo libro.

Io invece le mie storie non le anticipo mai a nessuno, mentre le sto scrivendo. Mi chiudo dentro la crisalide, senza sapere che cosa ne uscirà. Una farfalla, oppure una falena.

Sarebbe già un ottimo risultato,una falena!

Scrivere un romanzo per me significa stare da soli con una storia almeno un anno o due,con un’ansia di sottofondo. Magari la trama è insensata ed è completamente folle dedicarci due anni di vita.

Be’ ma è proprio questo il bello!

Che cosa?

Non sapere che cosa verrà fuori. Scrivere è un’esperienza, non è il resoconto di qualcosa già accaduto altrove, nella mente.Non si trascrive quel che si è immaginato in precedenza.  Si immagina durante la scrittura. Si sogna a occhi aperti, a parole aperte, per così dire.  Ti vediamo, quando sbatacchi infervorato le dita sulla tastiera.Anche se hai in testa una qualche idea preventiva della scena che stai per scrivere, non puoi prevedere nei dettagli che cosa scriverai, e così dalle tue parole all’improvviso sprizza un personaggio che dice una battuta inaspettata, una trovata che ti fa scoppiare a ridere.