Sulle pagine dedicate alla letteraturа presentiamo l’autore Tiziano Scarpa, il vincitore del premio letterario “Strega“ per l’anno 2009. In questa occasione proponiamo un breve brano del suo romanzo vinicitore Stabat Mater, insieme a un dialogo immagionario dell’autore con le parole.
Signora Madre, è notte fonda, mi sono alzata e sono venuta qui a scrivervi. Tanto per cambiare, anche questa notte l’angoscia mi ha presa d’assalto. Ormai è una bestia che conosco bene, so come devo fare per non soccombere. Sono diventata un’esperta della mia disperazione.
Io sono la mia malattia e la mia cura.
Una marea di pensieri amari sale e mi prende alla gola. L’importante è riconoscerla subito e reagire, senza lasciare il tempo di impadronirsi di tutta la mia mente. L’onda cresce rapida e ricopre tutto quanto. È un liquido nero, vlenoso. I pesci moribondi salgono in superficie, con le bocche spalancate, annaspano. Eccone un altro, viene su boccheggiando, muore. Quel pesce sono io. Mi vedo morire, mi guardo dalla riva, ho i piedi già bagnati di quel liquido nero e velenoso.
Arriva in superficie un altro pesce agonizzante, è il pensiero del mio fallimento, sono ancora io quella, sto morendo un’altra volta. Perché venire alla galla? Meglio morire sott’acqua. Vengo tirata giù. Mi sento sprofondare. È tutto buio. Poi sono di nuovo sulla riva, in piedi, ancora io, ancora viva, guardo il mare velenoso, nero fino all’orizzonte, i pesci morti pullulano, con le bocche spalancate. Sono io, siamo io, mille volte, mille pesci in agonia, mille pensieri di distruzione, sono morta mille volte, continuo a morie senza smettere di agonizzare. Il mare si gonfia, sale, è velenoso, nero. Sono il pesce con gli occhi velati, salito in superficie per morire. Guardo in alto sopra la mia testa. C’è un orizzonte livido, le nuvole sono scure, come un mare capovolto, il cielo nuvoloso è fatto di onde immobili, sfuocate.
Vedo la riva di un isola minuscola, là in fondo c’è una ragazza che si guarda intorno. Mi guarda mentre muoio, non può fare niente per me, quella ragazza sono io. Fai qualcosa per me, ragazza sulla riva, fai qualcosa per te setessa. Non lasciarti amareggiare da ciò che senti dentro di te. Dovunque ti volti vedi la tua disfatta. La marea nera sale, è piena di pesci morti. Reagisci, non soccombere. Bisogna fare in fretta, prima che io sia completamente sopraffatta, fincé c’è un angolino della mia mentre che riesce a vedere che cosa le sta succedendo. Bisogna trascinarsi lí con tutte le forze, ritirarsi in quel cantuccio ancora capace di prendere decisioni e dire: io.
Io non sono questo sfacelo, io ce la posso ancora fare, io sono forte, io non voglio sciogliere dentro questo veleno nero, io non sono tutta questa morte che vedo, io non voglio inghiottire questo mare, io non lascerò che tutto questo buio entri dentro di me e mi cancelli.
Ci sono ancora, da qualche parte, sono qui, separata da questa devastazione, l’angoscia non mi ha ancora presa tutta, cè ancora un angolo dove posso mettermi al riparo e dire: io.
Se riesco ancora a farlo, per questa notte sono salva, sono in grado di alzarmi e lasciarmi alle spalle il mio letto di affanni e venire qui a scrivervi.
Signora Madre, tanto per cambiare anche questa notte mi sono ritrovata con gli occhi spalancati a fissare il soffitto. Non è proprio un soffitto, per la verità, perché sopra di me c’è il letto di Maddalena. Qui dentro dormiamo in file di letti fissati al muro come mensole. Quelle che dormono nei letti inferiori hanno sopra la testa una specie di soffitto personale, che è fatto dalle assi dei letti superiori.
E cosí il mio soffitto sono le assi del letto di Maddalena. È piuttosto basso, se sollevo il braccio posso toccarlo. Naturalmente non lo faccio, perche ormai mi conosco, sono troppo distratta. Mi è già successo di alzare il braccio mentre pensavo ad altro. Ho toccato le assi con la punta delle dita, senza rendermene conto, ho tolto una scheggia da uno spigolo e poi, sempre sovrapensiero, ho cominciato a grattare il legno con le unghie.
– Che cosa vuoi? – mi ha chiesto all’improvviso Maddalena, sporgendosi dalla sponda del suo letto, sopra di me, con tutta la testa. Mi ha fatto trasalire. Nel buio distinguevo il contorno della sua capigliatura scarmigliata, sembrava circondata di serpenti neri.
– Volevi dirmi qualcosa?- mi ha chiesto. Io sono rimasta zitta, non avevo proprio niente da dirle.
Io non ho niente da dire a nessuno. Non sono amica di nessuno, qui dentro. Scusatemi, vi sto raccontando cose senza nessuna importanza. Le schegge di legno sulle assi del letto! Mi vergogno, Signora Madre, vi chiedo perdono. Ma da qualche parte dovevo pur cominciare, voi non sapete niente di me, non sapete niente di niente.