Siamo stati in contatto fino al giorno prima: stavamo organizzando, presso il Palazzo Firenze della Dante Alighieri di Roma, una manifestazione di poesia per il 50° delle Serate di Struga, con un omaggio a Mateja Matevski, la Corona d’oro 2011; avevo trasmesso una proposta ufficiale e mi aveva confermato l’approvazione del Ministro della Cultura. Ho conosciuto Boris nel luglio del 1996; ero a Skopje da solamente due giorni e lui si è presentato nel mio ufficio, chiedendomi perché non ero presente ad un incontro culturale organizzato dall’Ambasciatore Troni (“ricordo di Cicerone“, con invito scritto in latino) e voleva conoscermi: il giorno successivo mi ha regalato una ventina di libri sulla cultura macedone.
L’amicizia, il rispetto, la fraternità che, nata immediatamente, è esistita e resta tra me e Boris, può spiegarsi con questi due momenti, segnati nel tempo: ci siamo incontrati immediatamente trovando una profonda sintonia tra le nostre due menti, e ci siamo sentiti fino all’ultimo minuto, cercando ancora una volta di dare spazio alla cultura ed alla poesia, nelle quali credevamo e che ritenevamo un mezzo rilevante per sospingere i giovani, con pacatezza e serenità, con riflessione e attenzione, innanzitutto verso una crescita spirituale.
Lui ortodosso, io cattolico, assieme abbiamo incontrato tanti rappresentanti della cultura islamica con i quali potevamo ben colloquiare e dai quali eravamo ben accolti. Egli viveva la sua percezione religiosa ascoltando e parlando con tutti i rappresentanti delle espressioni religiose, ben oltre quelle più a contatto con noi. Boris ha vissuto la situazione culturale della Jugoslavia prima e della Macedonia poi, vivendo alcune tensioni emotive – l’indipendenza e lo scontro culturale creatosi all’interno della cultura hanno evidenziato alcuni comportamenti o atteggiamenti socio-culturali che riteneva abbastanza teatrali – in maniera molto calma e pacata pur se delusa e rattristata, ma mai reazionaria o proditoriamente critica, senza partecipare alla diatriba, rispettoso e studioso com’era di ogni espressione ed i sentimenti che l’animavano costantemente erano quelli dell’uomo della cultura macedone, di una Macedonia d’ogni tempo, di una Macedonia ricca di storia.
Con la sua intelligenza culturale, Boris credeva nell’uomo e restava “di ghiaccio“ di fronte ad atteggiamenti, spesso plateali ed esibizionistici ma senza spirito, di alcuni, a volte anche amici di lunga data, che così agivano solamente per una direzione egoistica e di interesse, non culturale e di progresso: mai prigioniero di convenzioni e regole, si differenziava sempre per la sua capacità di mediazione, condita di profonda competenza, da tutti apprezzata anche per la sua libertà, o, si potrebbe dire, per la sua emancipazione culturale.
Egli ha vissuto sempre con partecipazione, piacere e impegno, convinto, oltre che capace, di offrire sempre un contributo positivo alla reale e naturale condizione d’esistenza dell’uomo, attraverso la cultura, perno intoccabile della società.
Anche nel nostro ambiente italo-macedone era una pietra d’angolo (sono riuscito a fargli assegnare il primo Commendatorato della Repubblica per meriti culturali), pronto a dare il proprio contributo, spesso indispensabile, per ogni costruzione: e noi eravamo un binomio che riusciva a concertare ogni appianamento nelle divergenze che sorgevano di tanto in tanto tra le associazioni o tra le persone. E tutti avevano un profondo rispetto per quest’uomo che aveva sempre un sorriso accattivante, che sapeva considerare in negativo un progetto, semplicemente con alcuni gesti della testa – che non dicevano esplicitamente “no!“ – e con alcune espressioni generalizzate e concordate tra mani, occhi e corpo, che portavano innanzitutto ad un brindisi con la jolta e poi ad una revisione di quel discorso imperfetto e ad un nuovo accordo degno e di spessore: era questo l’uomo di cultura Boris Visinski.
Non l’ho mai visto arrabbiato, mai scontento, e se qualcosa non andava era capace e convinto di superare tutte le anomalie con un atteggiamento così tranquillo e sorridente e così bonario ed affabile, che gli riusciva ogni cosa, lui che con il romanzo e con la letteratura viveva quasi sempre in un giardino fantastico. Non voglio descrivere tutto quello che abbiamo fatto assieme; tantissime manifestazioni, tantissime iniziative, tantissimi incontri; è venuto a trovarmi qui a Frosinone ed è stato a casa mia più di una volta, ci siamo incontrati a Recanati, a Roma, a Cervara di Roma, ed insieme siamo andati in tanti paesi della Ciociaria. Mai c’è stata una minima divergenza nelle nostre idee e nelle nostre iniziative: eravamo l’uno complementare dell’altro; dal punto di visto professionale, sapevamo senza telefonarci e senza disturbarci quello che ognuno doveva fare. Ed abbiamo vissuto la nostra amicizia nel modo più naturale e più istintivo ed immediato con una intensità mai costruita ad arte ma sempre spontanea, dal 1996 fino ad oggi.
Qualcuno mi ha detto che eravamo quasi fratelli: se fratelli si intende tutto questo sì. Ed io posso dire di aver perso un fratello. Boris, è stato, per me, sempre uguale: la stessa camminata, la stessa borsa, la stessa determinazione, lo stesso coraggio, la stessa caparbietà nell’operare, la stessa sicurezza e la stessa precisione; mai che avesse dei dubbi sulle informazioni; così come conosceva tutti i numeri di telefono a memoria, così non poteva non aggiornare chiunque sui rapporti culturali tra l’Italia e la Macedonia, nel passato e quello che avrebbe potuto essere nel futuro Io, e sono sicuro accompagnato dai tanti altri funzionari dell’Ambasciata d’Italia a Skopje che l’hanno conosciuto sin dall’apertura della sede diplomatica, dico grazie a Boris e resterò sempre addolorato, privato di un grande eccezionale amico.
Silvano Gallon