Istituto Dante Alighieri, Skopje

In direzione ostinata e contraria

2-1

Lo stesso De André si autodefiniva cantautore. Ma per precauzione:

“Benedetto Croce diceva che fino all’età di diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono solo due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. E quindi io, precauzionalmente, preferisco definirmi un cantautore.“

 

2-2

La carriera di De André comincia all’inizio degli anni ‘60 ma il successo arriva solo qualche anno dopo, quando Mina scopre La canzone di Marinella. Di questo periodo ricordiamo straordinari pezzi come Via del campo, La guerra di Piero, Bocca di rosa. Sono gli anni della grande contestazione studentesca e antimilitare nel mondo, contro la violenza e ogni forma di oppressione. Ma mentre nelle canzoni degli altri, di Dylan ad esempio, c’è la disperazione per la guerra, che bisogna criticare e basta, le canzoni di De André saranno già marcate dalla pietà per le vittime, che sarà una delle caratteristiche principali del cantautore genovese:

“Ora che è morto la patria si gloria/ d’un altro eroe alla memoria / (…) ma lei che lo amava/ (…)/ d’un eroe morto che ne farà/ se accanto nel letto ne è rimasta la gloria/ d’una medaglia alla memoria.

2-3

Negli anni ‘70 traduce Bob Dylan e Leonard Cohen, finisce La Buona Novella, con i testi tratti da alcuni vangeli apocrifi e dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, tradotta da Fernanda Pivano. Ma sono anche anni della straordinaria tournée con la PFM, prima di ritirarsi in Sardegna dove assieme alla compagna Dori Ghezzi vivrà uno dei momenti più drammatici della sua vita: il sequestro. Questa esperienza e la solidarietà con il popolo sardo, oppresso come i Pellerossa in America, ispirano l’album senza titolo comunemente conosciuto come L’indiano, per il suo disegno in copertina (di cui ricordiamo soprattutto Fiume Sand Creek, Hotel Supramonte, Se ti tagliassero a pezzetti).

2-4

Altro grande momento di successo arriva nel 1984, quando De André realizza con Mauro Pagani Crêuza de mä, che riceverà il titolo di miglior album del decennio e che sarà considerato la pietra angolare della world music. I testi sono scritti in dialetto genovese, uniti alla sonoritàdi strumenti mediterranei e alle tradizioni delle musiche balcaniche e berbere.Tra i suoi ultimi album ricordiamo Le nuvole con successivo tour trionfale, eletto miglior album del ‘90. Il titolo è tratto da Aristofane e allude ai potenti che pensano di oscurare il sole; tra i temi ritroviamo di nuovo la critica dell’attualità specie ne La domenica delle salme e in Don Raffaè, canzone in cui torna il dialetto per dare voce al popolo.

Anime salve è del 1996, scritto in collaborazione con Ivano Fossati. Con l’ album Mi innamoravo di tutto e il tour teatrale, che sarà interrotto nel 1998 per motivi di salute, finiscono la carriera e la vita di Fabrizio De Andrè (gennaio 1999).

 

Disperazione e pietà, ispirazioni principali di De André

2-5

Già nel suo album del ‘68 Tutti morimmo a stento troviamo alcuni dei temi che il cantautore genovese tratterà spesso, temi e personaggi dark: suicidi, pervertiti, drogati, bambini pazzi, re tristi, a cui dopo si aggiungerà tutta una schiera di morti impiccati, annegati, pensionati, transessuali, ladri crocifissi, vecchi alcolizzati, soldati morti ammazzati, prostitute; personaggi descritti nel loro aspetto più umano, con solidarietà e affetto per l’altro, per le “vittime di questo mondo“, sempre con passione, con pietà velata spesso da tenera ironia. Non dimentichiamo Cristo, alla cui epopea dolorosa e splendente sarà dedicata La Buona Novella, e l’amore blasfemo e umano di De André per questa vittima per eccellenza, per questo rivoluzionario: dopo una lettura dissacrante dei comandamenti, dopo la rabbia, il rimpianto, le imprecazioni, si cede alla legge dell’amore, contagiati dal messaggio non della divinità, ma dell’uomo di Nazareth: “Ma adesso che viene la sera ed il buio/ mi toglie il dolore dagli occhi/ e scivola il sole al di là delle dune/ a violentare altre notti:/ io nel vedere quest’uomo che muore,/ madre, io provo dolore/ Nella pietà che non cede al rancore,/ madre, ho imparato l’amore“.

Il mondo degli oppressi di De André sarà popolato da interi popoli perseguitati, oltre ai già menzionati sardi e ai Pellerossa, anche dai palestinesi, dai rom, anche loro vittime nei campi di sterminio. A questo popolo nomade, alla sua voglia di essere vento, di non fermarsi mai, è dedicata una delle sue canzoni più belle: Korakhané.

De Andrè ha narrato l’amore, l’amore mercenario e quello passionale, che strappa i cappelli e taglia le vene, il matrimonio come tomba delle illusioni, l’anarchia e la libertà anti-idolatrica. In un’altra sua bellissima canzone appunto parla delle idee, quelle che rimangono: “Se ti tagliassero a pezzetti/ il vento li raccoglierebbe/ il regno dei ragni cucirebbe la pelle e la luna, la luna tesserebbe i capelli e il viso/ e il polline di Dio/ di Dio il sorriso“. Ha cantato le donne, la giustizia, la morte, la guerra, la preghiera e la disperazione. Ha raccontato vicende drammatiche della storia recente: la morte di Tenco e di Pasolini, il maggio francese e le bombe italiane, oltre a quella che sarà definita “la squallida epopea dei vari tangentisti e mafiosi degli anni ‘80 e ‘90.“ “Ciò da cui scaturisce la straordinaria poetica di De André è un’indignazione morale, una solidarietà piuttosto personale, con gli ultimi, con le minoranze.“ Proprio di una prostituta parla La canzone di Marinella, di un’altra, molto diversa, parla Bocca di Rosa. Lei non è una povera ragazza costretta a prostituirsi, come Marinella, è una “che metteva l’amore sopra ogni cosa“ e simbolo dell’amore universale. Per lei l’amore è mestiere, ma anche vocazione, e così suscita “l’ira funesta“ omerica tra le bigotte (“cagnette a cui aveva sottratto l’osso“) nel paesino di Sant’Ilario.

Ricordando questo grande artista, viene spontaneo citare Smisurata preghiera, sua ultima canzone: “sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso, a guidare la colonna di dolore e di fumo che lascia le infinite battaglie al calar della sera, la maggioranza sta ferma a recitare un rosario di ambizioni meschine, di millenarie paure, di inesauribili astuzie, coltivando tranquilla l’orribile varietà delle proprie superbie,“ (…) mentre “chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore / di umanità, di verità. Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco, non dimenticare il loro volto, che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti“.

Riguardo al Signore non posso dire niente, ma noi randagi e respinti, noi sempre minoranza alla ricerca dello splendore, noi dalla parte dei Troiani, noi ormai definitivamente sulla cattiva strada, noi senza maestri e contagiati dalla follia di viaggiare in direzione ostinata e contraria, noi non dimenticheremo mai De André.

Ljiljana Uzunović