Istituto Dante Alighieri, Skopje

… quando quattro amici …

… continuano …

Allorché ero in servizio agli Esteri, incontrare le persone era quasi una necessità quotidiana; e ricevere personaggi della cultura (sempre pochi rispetto ai politicanti) mi faceva piacere, oltre che ono­re per essere ritenuto un interlocutore idoneo o perlo­meno non troppo incapace.

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A Skopje, conobbi quasi immediatamente Visinski, che assieme ad Italo Bertoni, mi diede, da subito, ogni impulso ed ogni coraggio per intraprendere un percor­so culturale anche in Macedonia (oltre che passaporti – e non era da poco costruire, per la prima volta, la co­munità italiana: anzi è stata una delle più commoventi esperienze tra gli emigrati! – e centinaia di richieste di visto da esaminare e soddisfare); già dai primi incontri, parlando di arte, musei e contatti italo-macedoni, il Visinski spesso mi accennava ad un altro Boris, che era un po’ restìo e non amava affatto presentarsi in Amba­sciata (tanto meno parlare della sua vita).

Passò pochissimo tempo e lo conobbi e subito lo presentai anche ad Italo; Petkovski non amava fre­quentare salotti e non amava parlare con superficialità; la sua competenza e la sua serietà erano accompagna­te da una grande dignità che faceva del suo impegno professionale (era in pensione, ma sempre attivo) qualcosa di nobile, serio e rispettabile per gli studenti, per i giovani e per tutti coloro che avevano a cuore le espressioni artistiche e culturali.

Non osava introdursi senza un motivo, ed attende­va sempre che venisse offerto un colloquio costruttivo, che comportasse un qualcosa di nuovo o di interessante da presentare nel segno delle più meritevoli e lodevoli manifestazioni culturali; lui, pur avendo sempre amato l’Italia (mi raccontava della sua nonna, Antoniazzi di cognome, come la mia) non era, all’epoca, molto sol­lecitato da manifestazioni che avessero potuto coinvol­gere direttamente i due paesi, l’Italia e la Macedonia (almeno in contatti all’interno dell’Ambasciata).

Quando decidemmo di fondare la Dante Alighieri, Boris Visinski mi disse che solamente un uomo come Petkovski avrebbe potuto prendere la presidenza va­cante del Centro Culturale Italiano di Skopje, associa­zione da noi creata l’anno precedente per favorire le manifestazioni culturali: “esperto critico d’arte, molto scrupoloso e sensibile si impegnerà come nessun altro potrebbe fare”, mi disse.

Egli accettò l’incarico e non molto lentamente ci conoscemmo, allargammo i nostri incontri e l’amicizia che ci unì fu talmente forte, che Boris Petkovski iniziò a manifestarsi anche con un linguaggio fatto sempre più di una goliardica allegria (aspetto questo, che, all’ini­zio, sembrava non fosse affatto del suo carattere).

Fu l’artefice della riuscita di tanti incontri; mise a disposizione, con animo buono e ampio, con contegno e con qualità morali eccezionali, tutta la sua straordi­naria competenza, divenendo un alfiere della propa­ganda e della programmazione delle manifestazioni culturali che coinvolgevano l’Italia in Macedonia: per noi tutti, si faceva riferimento sempre e per ogni pur piccola iniziativa a Boris1 e Boris2, per identificare questi due personaggi di cui l’Ambasciata stessa non poteva fare a meno.

Potemmo così, familiarizzare un po’ tutti con Boris Petkovski ed egli divenne un amico, un carissimo ami­co, tanto che riuscimmo a coinvolgere anche le rispetti­ve famiglie (nella mia famiglia, il ricordo va spesso alla signora e ad Antonella); non esistevano tentennamenti o parole vuote per capire ed assecondarci, aiutarci e de­cidere come andare avanti.

Boris era una persona così coscienziosa e così ca­pace, che prendeva un appunto dal mio ufficio e torna­va con una relazione scritta, appena un paio di giorni dopo Era preciso, sincero, onesto, perfetto nelle sue e nostre operazioni culturali, e non mancava di esprime­re complimenti a tutti, anche a me, suo piccolo e mo­desto discepolo-amministrativo.

Conservo una sua fotografia, scattata quando mi accompagnò a visitare la necropoli di Skupi; si mise su una base di marmo e si atteggiò a dittatore romano: rideva, scherzava, e mi raccontò tanto, parlando libe­ramente sui romani, su Roma, sulla via Aegnatia, e su tante battute con riferimento agli stornelli romani ed a Pasquino.

Fu eccezionale nell’organizzare la visita di padre Michele Piccirillo, che lo ricordò in alcune cartoline scrittemi (anche lui scomparso appena il mese scorso, che ha lasciato in Palestina un vuoto incolmabile); era scrupoloso ed io potevo ammirare tutto il rispetto di cui godeva da parte dei giovani nuovi direttori, quando si organizzavano mostre al Museo d’Arte Contemporanea o negli altri Centri culturali di Skopje.

Si lamentò, ma solamente un po’, perché l’Italia lo trascurava; desiderava la cittadinanza italiana (ma io non potevo fare nulla, perché la sua pratica doveva es­sere istruita in Istria) e si aspettava un riconoscimento formale per il suo impegno culturale: lo stavamo pre­parando, ma non c’è stato tempo.

Ci siamo sentiti per telefono, poco prima che ci la­sciasse, ed anche in quella occasione si lamentò di un aspetto così importante per lui (e così toccante e pro­fondo per me), perché non voleva assolutamente scal­fire quel forte sentimento di amicizia che, da quando ci eravamo conosciuti, ci aveva sempre legato : “come sono ora non posso scriverti – mi disse – e per parlarti ho anche bisogno di chi mi sostiene il telefono…”.

Non posso e non potrò dimenticarlo; ho un ricordo affettuoso del suo essere schivo della scena e dei riflet­tori (e questo lo ha molto penalizzato nell’ambiente culturale anche macedone) ma nello stesso tempo gio­viale ed estroverso nei sani e veri valori, del suo essere schietto, leale e genuino nell’amicizia, e l’ho sempre e tanto stimato ed ammirato e mi accompagna conti­nuamente nel mio passeggio da pensionato, pieno di emozioni.

Mi resta uno degli ultimi ricordi, al bar Roma-Parigi (o Rim-Paris, con Micko, che ci assecondava con generosità e sensibilità e con gradita familiarità): attor­no ad un tavolo eravamo in quattro – Boris e Boris, Italo ed il sottoscritto – il più bel cenacolo mai consumato, in spensierata serenità, con una jolta abbondante (cosa che Petkovski non amava tanto, ma nemmeno Italo) ed una lunghissima, interminabile conversazione sul valo­re delle relazioni fra gli uomini – soprattutto tra coloro che ostentano un’estrazione diplomatica o un’apparte­nenza culturale (quelli che, spesso, desiderano accon­tentarsi di un’aureola priva di brillantezza, fatta sola­mente di fatue scene) – di quelli che cercano di dare un senso al loro modo di vivere, improntato sulla nobiltà di cuore e sulla signorilità del proprio comportamento umano e professionale, fondato soprattutto sul valore, inalienabile e sacro, dell’amicizia e del rispetto altrui.

Fu l’unica volta in cui, quei quattro personaggi “di una certa età” ed affatto “amanti della jolta” non inten­devano alzarsi e ritirarsi: un sabato pomeriggio lungo, che ancora oggi resta vivo e presente … e continua.