Istituto Dante Alighieri, Skopje

DANTE E L’EUROPA

L’universalità del pensiero dantesco

Masi

Sono molto lieto di essere qui a Skopije per festeggiare con voi questa sera la Settimana della lingua italiana, qui promossa dall’Ambasciata d’Italia, in collaborazione con il Comitato della Dante Alighieri e altre importanti istituzioni tra cui la Info Center, Delegazione dell’Unione Europea nella cui sede siamo ospitati.
Porto a tutti voi il saluto del nostro Presidente della Società Dante Alighieri, il Prof. Andrea Riccardi che nel recente Congresso Internazionale di Milano ha fissato nei Balcani, nel Mediterraneo e nell’America del sud i tre obiettivi del lavoro futuro della nostra Istituzione.
Il tema di quest’anno è l’italiano in musica, ma ho pensato di riflettere sulla figura del Sommo Poeta per parlare dell’idea d’Europa che nasce dal suo pensiero poetico, teologico, politico e, consentitemi, forse il più musicale di tutti i capolavori letterari.
Il nostro Continente sta affrontando un periodo di profonde trasformazioni, attraversato da una crisi di valori spirituali, di confronti anche aspri con altre culture, con altre popolazioni che per motivi umanitari stanno trasmigrando verso i nostri paesi. Mi sembrava opportuno in questa sede rammentare, soprattutto a noi stessi, il senso delle origini di un’identità culturale cosi complessa e lontana nel tempo come è quella europea.
Dunque è dal pensiero di Dante che vorrei ripartire per ricongiungere tutto questo complesso mosaico di pensieri.
Dante Alighieri nasce nel 1265 a Firenze, città-stato. E’ il tempo dei Comuni, gloria e dramma della civiltà italiana. Non solo essi si dilaniavano a vicenda, ma anche all’interno, con lotte civili che rovesciavano le situazioni capovolgendole secondo chi riusciva a prendere le redini del comando, in una battaglia infinita di tradimenti, alleanze impossibili, gioco allo sfinimento secondo l’intervento di potenze straniere, spesso chiamate in Italia dalla Chiesa di Roma secondo fini complessi, bilanciando le forze in campo e tenendo sempre l’occhio al compromesso politico. La questione delle alleanze sarà il motivo dei sanguinosi scontri, fra cittadini, che pure a Firenze erano conseguenti alle guerre tra Guelfi e Ghibellini, i primi dalla parte del papa, i secondi dell’imperatore, ma a complicare le cose i Guelfi si divisero in bianchi e neri, sicché era un esiliarsi a vicenda, un rientrare in città con la forza, un’attendere la salvezza da uno straniero che mettesse fine alle lotte intestine.
Nessuno vorrà qui ripercorrere la drammatica biografia del Poeta, coi suoi fallimenti politici e la sua magnanimità nel rifiutare il tentativo della Lastra (1304), per cui dovette far parte “per se stesso” e dire addio al sogno di rientrare in Firenze coi fuoriusciti. Ma un altro sogno, e questa volta grande, egli carezzò per anni, al quale sogno dobbiamo legare la sua visione non solo della libertà di Firenze dalle fazioni, ma dell’Italia e poi l’illusione d’un’Europa-Impero ove un monarca illuminato placasse gli odi fra i comuni, all’interno delle città, così come aveva fatto, 1300 anni avanti, Giulio Cesare, avendo intuito che la Repubblica aveva esaurito la sua funzione e alimentava solo le guerre civili. Egli unì l’Europa sotto l’Aquila di Roma e sotto il suo immenso prestigio: egli ha dato alla politica i fondamenti millenari futuri e a Roma la pace interna che durerà fino alla discesa dei barbari e all’ultimo imperatore Romolo Augustolo.

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Ora, inteso che nulla è scindibile nell’Alighieri (passione politica, tensione teologica, coerenza vita-opera), bisogna aggiungere una considerazione fondamentale nel tema che stiamo trattando: la sua cultura è di “estensione europea” (per cultura non intendo solo il sapere, che è comunque enciclopedico in lui, ma la fusione personale, geniale, di ogni elemento in un organismo vitale e didattico), e, nel tempo, profonda le radici fino al mito oltre l’antichità stessa. Per questo bisogna riconoscere che la cultura europea (con simile termine comprendiamo anche la politica) è filtrata da Dante e riproiettata in modo personalissimo ma universale anche attraverso i personaggi di ogni nazione che egli incontra nel suo capolavoro. A citarli sarebbero troppi, ma non è significazione da poco che Arnaut Daniel (canto XXVI del Purgatorio), supremo sostenitore del “trobar clus”, antesignano degli ermetici, inventore della “sestina” che Dante portò nella nostra lirica, poeta occitano, parli nella propria lingua, il provenzale.
Il pensiero di Dante è europeo. Il suo dettato politico, inscindibile dalla morale, porta a un equilibrio di vedute per cui l’uomo in sé viene prima del cittadino (si veda l’incontro con Farinata degli Uberti, c. X dell’Inferno) e la patria deve stare al di sopra degli interessi personali. Questo equilibrio, che, al tempo delle diatribe fra i pauperisti ad oltranza (Ubertino da Casale) e i tolleranti della ricchezza ecclesiastica (Matteo d’Acquasparta) dividevano in fazioni anche il popolo e di riflesso la politica, portò Dante e indicare una via di mezzo. Il suo giudizio talvolta crea una sua particolare teologia, e avanza nei secoli la visione politica dell’unità nel mondo ai fini della pace e del progresso.
Dobbiamo tener presenta anche tale aspetto dell’universalità dantesca, poiché individui di ogni nazione –e non solo del nostro continente- si ritrovano nell’universale realtà descritta da Dante. In soli pochi versi ho fatto notare ciò. Si può negare l’assunto d’un’Europa unita quale impero formulato nel “Monarchia”, quell’Europa che va da Costantinopoli alle Colonne d’Ercole (che Ulisse violò nel suo folle volo), immersa sì nel Mediterraneo ma estesa, geograficamente e culturalmente (come visto prima) fino agli estremi confini nordici della civiltà che ha prodotto i Santi e i Geni di cui Dante parla e di cui egli ora fa parte sovrana?
Concludo con una riflessione estemporanea: l’apice della poesia dantesca, il XXXIII canto del Paradiso, possiede una terzina sintomatica e indefinibile nella sua grandiosa sintesi e poliedricità di significato: “Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume ciò che per l’universo si squaderna” (vv. 85-87). E’ la visione di Dio portata agli uomini in metafora poetica, metafilosofica, ove l’immenso quaderno della creazione, sfogliato in ogni paese, in ogni nazione, in ogni continente, e perciò in ogni cuore in questo “gran mar dell’essere”, è riunito in un volume unico nella mente di Dio. Ed infatti il compito primario di ogni uomo è la tensione all’Uno, all’unità pur nello “squadernarsi dialettico dell’immenso volume della creazione”: unità che nasce dalla pace e ad essa tende per statuto interiore. E l’Europa dà, in tal senso, un vivo e concreto esempio al mondo di oggi e -si auspica- a quello futuro.

Roma, 12 settembre 2015                           da

Alessandro Masi Segretario

Generale Società Dante Alighieri