Metà degli studenti Erasmus ha scelto di restare all’estero nonostante il virus
Antonella De Gregorio
Erano 13 mila, all’inizio di marzo, gli studenti italiani, e 165 mila quelli europei, in «mobilità» con il programma Erasmus. Partiti per studiare in un’altra università del continente, hanno visto i loro piani stravolti dall’emergenza Covid-19. In Italia, prima, dove ogni anno arrivano 27 mila ragazzi; poi in Spagna, Francia, Germania, i Paesi che accolgono più candidati. Gli atenei hanno chiuso i battenti, lezioni ed esami trasferiti online. A studenti e staff è stata assicurata la possibilità di rientrare, invocando la clausola di «forza maggiore» e chi ha scelto di annullare o rinviare l’esperienza, ha comunque continuato a percepire il contributo comunitario. Il 50% degli studenti italiani (dice l’Indire, agenzia nazionale che gestisce la mobilità in entrata e in uscita) e il 40% di quelli europei (fonte Commissione Ue) sono rimasti nel Paese ospitante, seguendo le lezioni e accumulando i previsti crediti universitari. Non, però, le esperienze, gli incontri, i frammenti di felicità che poi si ricordano per la vita. Chi ha preferito tornare a casa, all’inizio ha lamentato mancanza di coordinamento e confusione.